
La tappa successiva, invece, è affidata di nuovo a , che firma un episodio della campagna di Crimea del 1855-1856 dal titolo I bersaglieri contro i russi nella vittoriosa battaglia al fiume Cernaja, scontro durante il quale l’esercito piemontese riusciva vittoriosamente a fermare l’ennesimo, disperato tentativo del nemico di forzare l’assedio che lo costringeva ormai da lunghissimi mesi all’interno del leggendario forte di Malakoff. Ambientandolo sul fiume e immerso nella nebbia, De Stefani descrive un feroce scontro all’arma bianca: i soldati sono impegnati in un aspro e drammatico corpo a corpo, durante il quale si ricorse persino al lancio delle pietre. L’immagine è magistralmente composta in una quasi assoluta mancanza di spazio ed aria; sullo sfondo, masse indistinte di uomini si muovono le une verso le altre mentre, avanzando verso il primo piano, la zuffa si fa progressivamente più fitta e sofferta: corpi che si inarcano, colpiti, affrontati ad altri che si slanciano in avanti. Gli sguardi sono allo stesso tempo terrorizzati e feroci. All’estrema destra due trombettieri richiamano i compagni ancora lontani ad un nuovo assalto: presto i piemontesi trionferanno, ma al centro della scena troviamo tracciata una intensa, sofferta, diagonale di corpi sofferenti: uno, di schiena, il volto di profilo, sta sollevando un pesante masso, lo sguardo diretto al nemico steso ai suoi piedi ma non ancora del tutto sconfitto. Salendo con lo sguardo, si incontra poi uno dei personaggi più intensi del dipinto: il soldato che, quasi al centro della composizione, urla, lo sguardo fisso sullo spettatore. Un urlo muto, intenso, dalla fortissima valenza simbolica, la cui forza sembra quasi propagarsi al compagno alle sue spalle che, le braccia alzate, è pronto a lanciare verso il basso la pietra che tiene alta sulla testa. L’uso di una cromìa squillante, sebbene attenuata dalla più cupa ambientazione (ma anche dai danni apportati al dipinto dal tempo e da incauti restauri), si fa più simbolicamente intenso nei gruppi di bersaglieri sulla destra, tra i quali risaltano i dettagli rossi, bianchi e blu delle divise. L’intenso naturalismo della scena, sapientemente costruita, ricorda l’esempio della pittura del napoletano Michele Cammarano: un riferimento imprescindibile per il giovane veronese, allievo a Roma presso Cesare Maccari negli anni immediatamente precedenti la commissione dei lavori per San Martino.